SCOPRICI. ANTONELLO DA MESSINA
Due ritratti per Cefalù
MUSEO MANDRALISCA
8 giugno > 26 novembre 2019
“Non discuto il valore letterario, però questa storia del ritratto di Antonello che rappresenta un marinaio deve finire!”
(Roberto Longhi a Vincenzo Consolo, Milano 1969)
Antonello vs Antonello. Ritorna a casa, al Museo Mandralisca di Cefalù [PALERMO] il famoso “Ritratto d’uomo” e stavolta rientra accompagnato: la tavola è stata infatti esposta per quattro mesi a Palazzo Reale a Milano, per la grande mostra dedicata ad Antonello da Messina, che ha seguito l’analoga esposizione palermitana a Palazzo Abatellis. Il Ritratto d’uomo – che Vincenzo Consolo cucì in maniera letteraria trasformandolo nell’Ignoto Marinaio – è stata una delle opere più apprezzate oltre lo Stretto, ma al suo rientro a casa non è più solitario: fino al 26 novembre, infatti, il museo del barone Mandralisca a Cefalù ospiterà anche il Ritratto d’uomo Malaspina, che fa parte della collezione dei Musei Civici di Pavia.
Il progetto espositivo della Fondazione Culturale Mandralisca si intitola “Scoprici. Antonello da Messina. Due ritratti per Cefalù”, e verrà inaugurato venerdì 7 giugno [CONFERENZA STAMPA ore 11,30, ingresso consentito alle tv dalle 10]. E’ la prima volta che un’opera non siciliana di Antonello da Messina viene esposta nella pinacoteca cefaludese: i due ritratti, inseriti in un percorso creato e voluto da Giovanni Carlo Federico Villa (curatore delle due mostre dedicate ad Antonello, a Palermo e Milano), infatti si guardano e chi li osserva scopre che hanno uno sguardo in comune, pur restando diversissimi; del resto, differenti sono gli stati d’animo, il modo di sentire, che Antonello, più di ogni altro artista, seppe tradurre e trasferire nelle sue opere. Il ritratto Malaspina, è stato datato dagli storici come antecedente al soggiorno veneziano di Antonello, tra il 1475 e il 1476. Ma Antonello ha già codificato il suo modello di “ritratto borghese”, portatile e di ridotte dimensioni: una tavola “da viaggio”, che può anche essere riconducibile alla sfera privata di un alto borghese, non più appannaggio solo dei regnanti. La posa di tre quarti, il diaframma del parapetto, il fondo scuro, sono caratteristiche dei ritratti fiamminghi, a cui Antonello aggiunge un’acuta attenzione psicologica. Scrive Giovanni Carlo Federico Villa: “Qui l’effigiato, con scatto repentino del capo e lo sguardo in tralice, sembra quasi spiare lo spazio dell’osservatore. La luce proveniente da sinistra,così da non essere tangenziale ma frontale rispetto al busto, garantisce il contrasto sufficiente per staccare con lieve ombreggiatura il profilo del naso, dando un adeguato rilievo alla guancia sinistra, al collo e ai particolari del viso”. Il marchese Malaspina, acquistò la tempera da una famiglia patrizia veronese ritenendola un autoritratto di Antonello. Nel catalogo manoscritto delle sue raccolte d’arte, il marchese annota infatti che “il quadro di cui si tratta è un ritratto che credesi il suo, fatto da se medesimo, ove trovasi il di lui nome fuso nel dipinto assai ben eseguito e che mostra d’esser assomigliantissimo”. Ospitata dal 1837 dallo Stabilimento di Belle Arti Malaspina, la piccola tavola fu trafugata nella notte tra il 10 e l’11 maggio 1970 e recuperata solo nell’agosto del 1977. La pellicola pittorica ha purtroppo risentito del furto, così come il supporto originale, una tavoletta di legno di noce spessa solo 5 millimetri, e quindi deve essere sottoposta a particolari attenzioni per l’esposizione. In calce, si legge “ANTONELLUS MESSANEUS PINXIT”, l’iscrizione è direttamente incisa, come nell’Ecce Homo Wildenstein e nel Ritratto di giovane della collezione Thyssen-Bornemisza di Madrid.
Del beffardo “Ritratto d’uomo” del Mandralisca si è detto sempre tutto e l’esatto contrario: se Vincenzo Consolo ne fissava l’identità romanzesca “di uno che molto sa e molto ha visto, sa del presente e intuisce il futuro”, Leonardo Sciascia andava oltre e si chiedeva, “Al mafioso della campagna e a quello dei quartieri alti, al deputato che siede sui banchi della destra e a quello che siede sui banchi della sinistra, al contadino e al principe del foro; somiglia a chi scrive questa nota (ci è stato detto); e certamente assomiglia ad Antonello. E provatevi a stabilire la condizione sociale e la particolare umanità del personaggio. Impossibile. È un nobile o un plebeo? Un notaro o un contadino? Un pittore un poeta un sicario? Somiglia, ecco tutto””. Poco importa, il celeberrimo Ignoto – che leggenda voleva in viaggio da Lipari e per anni nascosto dietro lo sportello di un mobile da farmacia della famiglia Parisi – è avvolto dal racconto, che qui in Sicilia è un’arte. Studi recenti di Varzi e di Dell’Aira ipotizzano, partendo dal sigillo sul retro della tavola, che il ritratto fosse già nelle mani dell’arcidiacono Giuseppe Pirajno, antenato del barone Enrico, a metà ‘700; e riprendesse le fattezze di tal Francesco Vitale da Noja, vescovo di Cefalù tra il 1484 e il 1492. Di certo l’effigiato si compiacque per la scelta del pittore, che era riuscito nella difficilissima arte di rendere insieme l’ironia al limite del beffardo, sguardo fra il sardonico e il derisorio, ma anche pregevolissimo realismo di fisionomia e di costume. E tutto questo trent’anni prima, almeno, dell’altro iconico sorriso cui infiniti commentatori l’accostano: quello, ovviamente, della Gioconda di Leonardo.
La mostra è organizzata dalla Fondazione Culturale Mandralisca, da MondoMostre e dai Musei Civici di Pavia, è frutto di una collaborazione tra le istituzioni, con un progetto a tutto tondo su Antonello, nato a dicembre scorso.